Come non ricadere in fenomeni di esterovestizione risiedendo all'estero e lavorando in Italia. Cassazione Penale Sezione III, sentenza 32091 del 21/02/13
RESIDENZA FISCALE ESTERA, ATTIVITÀ’ SVOLTA IN ITALIA
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Residenza fiscale estera, lavoro in Italia. Il caso. “Io ho la società all’estero e me la gestisco dall’Italia, sai, così pago le tasse in Inghilterra ma continuo a lavorare dall’Italia. Pensa, 59 £ su internet ed ho fatto tutto. Si tutto in regola, me l’hanno detto i “consulenti”. Quelli del pacchetto da 59 £?- Si proprio loro, sono furbi sanno come si fa, adesso ho la residenza fiscale estera e non pago le tasse in Italia“
Avete idea quante volte si sentono fare questi discorsi? Da persone che sono anche convinte di essere nel giusto. Ma come stanno davvero le cose? Cosa è la residenza fiscale estera? Si può avere un società all’estero e gestirla ed amministrarla dall’Italia, pagando così le tasse all’estero? Ovviamente no!
Certo si può avere una società estera, si può anche avere la residenza fiscale estera, nessun problema, ma la società estera, per pagare le tasse nel paese straniero ove ha la sede, deve essere realmente gestita ed amministrata dall’estero.
Con quest’articolo cercheremo di avere risposta alle più comuni domande su quest’argomento, fra le quali: dove pagano le tasse gli italiani residenti all’estero? Come dimostrare la residenza fiscale all’estero? Come evitare la doppia imposizione fiscale? Cosa succede se non dichiaro redditi esteri? Aprire partita IVA in Italia con residenza all’estero.
Leggete questo nostro precedente articolo in tema di ltd e lavoro in Italia. In altre parole la residenza fiscale estera deve essere reale e non fittizia. Così la pensa anche la Corte di Cassazione: vogliamo commentare ed evidenziare un’importante sentenza che fa estrema chiarezza in materia di esterovestizione ed imputazione dei redditi in Italia in capo a società formalmente estere.
RESIDENZA FISCALE ESTERA, LAVORARE IN ITALIA. LA REALTA’
L’aspetto citato al capo precedente è di primaria importanza nella considerazione che giornalmente ci vengono effettuate richieste da parte di neoimprenditori, o di imprenditori esperti, che pretendono di aprire società formalmente estere (di solito ltd) per poi lavorare di fatto in Italia, eccependo che “tanto i clienti sono all’estero” che “tanto io lavoro sul web“, che “i fornitori non sono italiani” ed altre elucubrazioni del genere, il più delle volte istigati da pseudo consulenti che, a fronte della promessa di prezzi bassi, ingannano i clienti e gli fanno commettere errori che hanno come conseguenza sanzioni civili e penali devastanti. Facciamo chiarezza utilizzando la Legge e la Giurisprudenza, capiamo cosa è la residenza fiscale estera e come utilizzarla correttamente.
RESIDENZA FISCALE ESTERA: CASS. PEN. SEZ. III, SENT. 32091 DEL 21/02/13
La sentenza in esame, la n. 32091 del 21/02/13 III Sezione Penale, evidenzia come l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74, sussiste se l’impresa abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano nel territorio nazionale la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonché la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi.
Questo ragionamento è preciso e netto, e deve servire da monito a tutti coloro che desiderano internazionalizzarsi ed espandere la loro attività all’estero. Si può fare, si deve fare, ma occorre andare REALMENTE all’estero, da là lavorare, da là gestire le proprie attività, avere la ltd finta in Gran Bretagna od a Malta, e rimanersene a lavorare in Italia non solo non è lecito, ma procura un’enormità di problemi.
La residenza fiscale estera, quando non è reale, è esterovestizione.
LE PREMESSE PROCESSUALI: I FATTI DI ESTEROVESTIZIONE
1. L’indagato ha proposto ricorso in cassazione per l’annullamento dell’ordinanza del 15 ottobre 2010 con la quale il Tribunale di Arezzo, ha rigettato l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo di beni immobili di proprietà del ricorrente, fino alla concorrenza della somma di Euro 492.844,83 (considerato profitto del delitto di omessa dichiarazione per gli anni d’imposta 2008 e 2010), finalizzato alla confisca per equivalente, pronunciato dal GIP dello stesso Tribunale il 19.9.2012, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5.
2. Il Tribunale ha respinto l’istanza di riesame ed ha osservato che la società XXXXXX ESTERA, con sede legale in (OMISSIS), ma con capitale detenuto al 95% dalla XXXX Spa ITALIANA (società con sede in (OMISSIS) e di cui era legale rappresentante il sig. YY) e al residuo 5% dallo stesso YY, era una società estero vestita, con residenza fiscale, ai sensi dell’art. 73, comma 3, del T.U.I.R., in Italia, e di conseguenza obbligata a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia. L’evasione d’imposta doveva quantificarsi nel 27,5% degli utili pari ad Euro 868.717,82 (per l’anno 2008) ed Euro 923.445,19 (per l’anno 2010) e di essa era responsabile rappresentante il sig. YY quale presidente del C.d.A. della società estera.
La prova della estero vestizione era data dalla documentazione relativa all’attività ordinaria svolta dalla società presso la sede sociale della controllante XXX Spa e all’attività di gestione finanziaria e commerciale svolta attraverso conti correnti in valuta estera, accesi presso tre filiali aretine, sui quali operavano i membri del C.d.A., con il conseguente radicamento in Arezzo della sede amministrativa effettiva della società XXX ESTERA. La collocazione in Tunisia della sede legale e dello stabilimento dell’attività di parte della produzione dell’oreficeria, avrebbe permesso di beneficiare dell’esenzione dei dazi doganali imposti dagli Stati Uniti e di godere, per i primi dieci anni, dell’esonero totale dalla tassazione dei redditi prodotti dall’attività di esportazione.
In sostanza, tutta l’attività amministrativa, come parametrata dalla sentenza n. 7080 del 2012 della S.C., si sarebbe svolta in Italia, senza che rilevi il carattere non fittizio dell’attività svolta all’estero. Non troverebbe applicazione il disposto dell’art. 167 TUIR, che presuppone un controllo su una società effettivamente residente all’estero. Nè vi sarebbe la prova del difetto di dolo specifico da parte del ricorrente, risultando più che evidente il beneficio di indebiti vantaggi fiscali goduti dalla società dallo stesso amministrata. L’indagato, condannato, proponeva ricorso per cassazione.
2. E’, anzitutto, irrilevante che il YY, odierno ricorrente, sia indicato quale responsabile del fatto nella qualità di legale rappresentante della XXX Spa (ossia della società controllante) invece che di Presidente del CdA della controllata esterovestita XXX Sari, con sede legale in (OMISSIS). Il dato formale riferito alla capogruppo e non alla controllata non elide la qualità effettivamente presente anche se non precisata in modo ineccepibile. Essa comunque individua il reale soggetto responsabile dell’amministrazione e gestione della controllata estera (irrilevanza del primo profilo di doglianza).
3. E’ inoltre infondata la doglianza di violazione ed erronea applicazione dell’art. 73 T.U.I.R., anche in riferimento alla sua interpretazione (che il ricorrente condivide) datane dalla sentenza n. 7080 del 2012 di questa stessa sezione (v. i restanti profili di critica dell’unico motivo di ricorso) che ha espresso il principio di diritto secondo cui “L’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dalD.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinchè sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi“.
4. Assume il ricorrente che, facendosi corretta applicazione di tale principio e dei dettati della sentenza (nel suo testo integrale), si dovrebbe pervenire al riconoscimento della stabile organizzazione della controllata tunisina e non già alla sua natura fattizia. Ciò proprio in considerazione della scelta compiuta dalla struttura di comando del gruppo societario di voler proseguire il rapporto commerciale con gli Stati Uniti d’America, un tempo instaurato dalla società di controllo ma poi resosi improseguibile per la presenza di dazi doganali imposti dagli USA e, quindi, non più concorrenziali per la società aretina. E ciò indipendentemente dal godimento dei benefici fiscali da parte della legge tunisina che esenta, per un decennio, le nuove società dal pagamento delle imposte sui redditi.
5. In realtà le finalità perseguite dalla società XXX Sari, con sede legale in (OMISSIS), così come tutte quelle c.d. esterovestite, sono finalità che danno luogo ad uno o più vantaggi fiscali ottenuti attraverso i più diversi strumenti (dall’esenzione d’imposta all’applicazione di aliquote di favore, dai benefici alle agevolazioni, ecc.) rispetto a quelli che invece dovrebbero scontare ove la società dichiarasse la sua vera residenza fiscale. E ciò, indipendentemente dal carattere reale o fittizio dell’attività industriale o commerciale svolta nel paese estero in cui si dichiara la residenza della società.
6. Ciò, del resto, è già stato riconosciuto da questa stessa sezione nella Sentenza n. 29724 del 2010, laddove si è affermato il principio di diritto secondo cui “L’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale IVA da parte di società avente residenza fiscale all’estero sussiste se questa ha stabile organizzazione in Italia, che ricorre anche quando la società straniera abbia affidato, anche di fatto, la cura dei propri affari in territorio italiano ad altra struttura munita o meno di personalità giuridica, prescindendosi dalla fittizietà o meno dell’attività svolta all’estero dalla società medesima. (Fattispecie in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni facenti capo a società avente residenza fiscale localizzata in territorio diverso dall’Italia, cosiddetta esterovestizione della residenza fiscale)“.
7. Il problema della stabile organizzazione in Italia della società (controllata, come nella specie, o partecipata) formalmente residente all’estero deve essere desunta da elementi fattuali rilevanti ai fini dell’accertamento della presenza in Italia della sede delle decisioni strategiche, industriali e finanziarie (c.d. alta amministrazione), nonchè di quelle più rilevanti dell’amministrazione della società. In poche parole della conduzione in Italia dell’attività costituente l’oggetto sociale del sodalizio osservato. Tale accertamento è stato compiuto dal giudice di merito con una motivazione immune da censure e da vizi logici e giuridici.
8. E’ quasi superfluo rammentare che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento a del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non possono pertanto essere censurati in questa sede presunti vizi di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento alle circostanze di fatto, quale quelli, evocate dal ricorrente, relative al fatto che l’unità produttiva tunisina fosse stata affidata alla gestione di un preposto di quella nazionalità, laddove avveniva la produzione dei gioielli diretti nel mercato americano, ed effettuati i pagamenti dei salari e degli stipendi, ecc..
9. Il Tribunale di Arezzo, peraltro, ha ampiamente motivato in ordine all’attività direttiva e finanziaria svolta nella sede aretina della controllante, i cui amministratori e dipendenti sono coloro che tirano le fila delle scelte produttive e finanziarie della società che così si palesa come esterovestita.
10. Si assume, infine, da parte del ricorrente che la società tunisina costituirebbe una stabile organizzazione estera rispetto al gruppo societario aretino, ai sensi dell’art. 162 T.U.I.R., ciò proprio allo scopo di proseguire l’attività produttiva e la commercializzazione verso il mercato americano. Ma l’elemento tecnico che dovrebbe far individuare proprio nella società tunisina quella stabile organizzazione idonea a localizzare nel paese magrebino il reddito dell’impresa multinazionale, sottraendolo lecitamente alla tassazione italiana, costituito dalla piena autonomia contabile, finanziaria e decisionale appare del tutto inesistente emergendo la totale eteronomia della gestione estera rispetto al centro decisionale italiano, proprio come motivato dal provvedimento del Tribunale di Arezzo, in questa sede impugnato, che ha richiamato i numerosi documenti (trovati nella sede aretina) indirizzati alla clientela della controllata in ordine al fixing del metalli prezioso, alla corrispondenza con i clienti della partecipata tunisina, agli strumenti di pagamento afferenti ai conti correnti bancari della controllata, persino ai timbri e alla carta intestata della società estera. Per non parlare della gestione finanziaria (conti correnti in valuta estera accesi presso le filiali aretine, la delega ad operare sui conti tunisini, i rapporti di reciproca compensazione, ecc: pp. 2 e 3 della motivazione) del tutto dipendente dal board della società capogruppo.
E’ davvero problematico parlare di stabile organizzazione di un gruppo multinazionale, come fa il ricorrente, quando in realtà la controllante italiana e la controllata estera risultano stabilmente dirette da un ristretto gruppo a base familiare.
In conclusione, laddove vi sia una controllante italiana di una controllata estera, il superamento dell’accusa di esterovestizione suppone, anzitutto (condizione necessaria ma non sufficiente), che il board della società capogruppo sia sostanzialmente diverso da quelli della società controllata. Ciò che nella specie manca e, con esso elemento, anche l’autonomia (strategica e amministrativa) della società controllata. La residenza fiscale estera, qualora non sia parametrata a ciò che la legge prescrive, è un nulla in termini giuridici.
In definitiva possiamo dire, in tema di residenza fiscale estera che: è necessario effettuare delle scelte imprenditoriali sagge e non avventate, pretendere di localizzarsi all’estero in maniera fittizia solo per avere vantaggi fiscali, e poi gestire tutto dall’Italia, dai conti correnti alle decisioni aziendali strategiche, non solo non è lecito, ma non è neppure intelligente. Se un imprenditore vuole realmente internazionalizzarsi lo faccia realmente, costituendo reali attività estere che agiscano in maniera concretamente autonoma, non creando una falsa residenza fiscale estera.
Il nostro Studio è a disposizione per spiegarti come fare per ottenere una reale gestione e costituzione di una società estera che sia in grado di farvi lavorare all’estero nella legalità e senza problemi, oltre che fornirti chiarimenti sulla residenza fiscale estera. Chiamaci allo +390532240071
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Avvocato dal 1993, Cassazionista dal 2009. Collaboro con imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale e nella creazione di società estere. Mi occupo anche di penale internazionale ed italiano. Coadiuvo uno Studio con numerosi collaboratori professionisti, sia avvocati che commercialisti. Se hai una questione giuridica da risolvere, contattami, troverò le risposte legali adeguate.
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