ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA FISCO ITALIANO
Esterovestizione societaria fisco italiano. Gentili Utenti, cercheremo di fare luce su un problema sempre più diffuso nel panorama fiscale italiano, esterovestizione societaria delle società formalmente estere ma in realtà italiane: il tutto al fine di trarre adeguati spunti per potersi internazionalizzare senza violare le norme fiscali italiane ed estere. Cercheremo un approccio scientifico al problema dell’esterovestizione, specificando sia le norme di legge che la giurisprudenza in merito.
Articolo a cura dell‘Avvocato Bertaggia di Ferrara. Esterovestizione societaria cos’è.
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ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA: RESIDENZA FISCALE ED ESTEROVESTIZIONE
La residenza secondo il diritto fiscale italiano; per non incorrere nell’esterovestizione della persona fisica o giuridica, nell’ordinamento italiano, la residenza è normata dal T.U.I.R. e per l’esattezza:
per quanto concerne le persone fisiche, dall’art. 2, ai sensi del quale, ai fini delle imposte sui redditi, “si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza…” ;
per quanto concerne invece i soggetti diversi dalle persone fisiche, come le società di persone, dall’art. 5, comma 3, lettera d), ai sensi del quale, ai fini delle imposte sui redditi, “si considerano residenti le società [di persone] … che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato…”;
per quanto riguarda le società di capitali e gli altri soggetti passivi dell’Ires, dall’articolo 73, comma 3, ai sensi del quale, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti “le società … che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”. Esterovestizione presunzione.
ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA: COSA E’ ESATTAMENTE
Conseguentemente, anche ai fini dell’esterovestizione, le disposizioni dettate per le società dall’art. 5 e dall’art. 73 T.U.I.R. attribuiscono particolare rilevanza non solo al dato formale della sede legale della società, situata in Italia, ma anche (soprattutto, si dirà) a quello sostanziale, relativo all’ubicazione nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione od allo svolgimento, in Italia, dell’oggetto principale dell’impresa.
Importante è rilevare il principio dell’alternatività. I criteri dettati dal T.U.I.R. sono, infatti, tra loro alternativi ed è perciò sufficiente che ricorra anche uno solo di essi per ritenere la società sospettata di essere esterovestita quale soggetto residente fiscalmente in Italia. Qualora così fosse, detta società sarebbe assoggettata alla tassazione nel territorio dello Stato secondo il criterio della worldwide taxation.
Bisogna però porre particolare attenzione al fatto che la norma dettata dall’art. 73 T.U.I.R. indica anche il seguente ulteriore elemento: trattasi della puntualizzazione “per la maggior parte del periodo d’imposta”, riferita a tutti e tre i criteri in discorso.
Perciò, anche nel caso in cui ci si trovi di fronte a una società costituita all’estero, quindi con la sede legale che non risulti ubicata nel territorio dello Stato, qualora l’Amministrazione finanziaria riuscisse comunque a dimostrare che la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’impresa sono in Italia, si potrebbe agevolmente concludere che la stessa è esterovestita, in quanto seppur formalmente estera, di fatto è fiscalmente residente in Italia e si incorre quindi in esterovestizione societaria.
ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA: PRESUNZIONE DI RESIDENZA IN ITALIA DELLE SOCIETÀ ESTEROVESTITE
Con riguardo al criterio di collegamento costituito dalla sede dell’amministrazione della società, è opportuno evidenziare che il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella l. 4.8.2006, n. 248 ha integrato le disposizioni contenute nell’art. 73 T.U.I.R., mediante l’introduzione dei nuovi commi 5-bis e 5-ter, in cui è prevista l’applicazione della presunzione legale relativa di residenza fiscale al ricorrere di determinati presupposti.
In ambito di esterovestizione societaria, quindi, con l’introduzione di tali disposizioni non sono stati istituiti nuovi criteri di collegamento con il territorio dello Stato, in aggiunta a quelli già previsti dal 3° comma dell’art. 73 T.U.I.R. per le società di capitali e le persone giuridiche in genere – ovvero, quelli riguardanti la sede legale, la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale dell’impresa – invece, è stata individuata dalle leggi tributarie una serie di prove sintomatiche della direzione effettiva dell’ente che evitano all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare l’effettiva residenza in Italia di una società ritenuta esterovestita, dando invece speciale rilievo alla residenza del socio di riferimento o a quella della maggioranza degli amministratori. Difatti il comma 5-bis dell’art. 73 T.U.I.R. dispone che, sempre ammessa la prova contraria, si consideri esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 se, in alternativa: a) sono controllate, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, del codice civile da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrate da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Questo è di basilare importanza al fine di comprendere cosa sia l’esterovestizione societaria, per evidenziare che i vani sforzi, inutili ed illeciti, che molti soggetti fanno creando realtà societarie fittizie di fatto gestite dall’Italia; all’unico scopo di evadere le imposte, con trucchi di vario genere, sono sempre destinati a cadere.
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ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA: IL CONTROLLO DELLA SOCIETÀ ESTERA
Per riprendere il discorso di esterovestizione societaria, si ricorda che il successivo comma 5-ter sancisce che ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Nella seconda parte del medesimo comma è previsto che, per le persone fisiche si debba tener conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’art. 5, comma 5, T.U.I.R.
È chiaro, quindi, che la legge ha voluto facilitare l’Amministrazione finanziaria nella non semplice dimostrazione della effettiva sede dell’amministrazione di una società, ma invertendo di fatto l’onere della prova, ponendolo in tal modo a carico del contribuente.
Da ciò consegue che compiuto l’accertamento che ricorre il requisito della detenzione da parte di una società formalmente estera della partecipazione di controllo in una società italiana – nello specifico, si tratta del primo requisito posto dal comma 5-bis dell’art. 73 T.U.I.R. – all’Amministrazione finanziaria sarà demandato il compito di appurare se ricorrano gli ulteriori requisiti fissati dall’art. 73, comma 5-bis, concernenti la residenza effettiva dell’azionista che controlla la società ovvero, in alternativa, quella della maggior parte degli amministratori.
Attenzione: la residenza in Italia della maggior parte degli amministratori può indurre a ritenere, che le decisioni strategiche della società e la c.d. alta amministrazione della società siano assunte nel luogo in cui dimorano stabilmente ed operano gli amministratori (Italia nella fattispecie in esame), non avendo più importanza il luogo in cui si tengono le riunioni del consiglio di amministrazione o comunque dell’organo a cui è demandata la gestione della società. Questa diventa esterovestizione societaria.
Per ciò che riguarda il requisito della residenza del socio che controlla la società, si tratta di un elemento che sembra fare riferimento al concetto di “direzione e coordinamento” di cui agli artt. 2497 ss. del codice civile, secondo cui si presume – si tratta anche in questo caso di presunzione legale relativa, a fronte della quale è quindi ammessa prova contraria – che l’attività di direzione e coordinamento sia esercitata dalla società controllata, al fine di non incorrere in esterovestizione societaria.
Illeciti penali dell’esterovestizione societaria
La fattispecie penalmente rilevante che consegue all’esterovestizione societaria, che con maggiore probabilità si configura nei casi in cui venga accertata l’esistenza di una società esterovestita è quella che concerne l’omessa presentazione in Italia delle dichiarazioni fiscali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
Il delitto di omessa presentazione delle dichiarazioni è attualmente disciplinato dall’articolo 5 D.Lgs. n. 74/2000: “ARTICOLO N.5
Omessa dichiarazione.
1. E’ punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro trentamila.
2. Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto
”.
Nel caso in cui, invece, la società esterovestita avesse provveduto alla presentazione delle menzionate dichiarazioni, ad esempio per comunicare al Fisco italiano i redditi prodotti in Italia, ove ne ricorrano i presupposti, è configurabile la fattispecie delittuosa di dichiarazione infedele, disciplinata dall’articolo 4 del D.Lgs. n. 74/2000: “ARTICOLO N.4
Dichiarazione infedele.
1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni” per quanto concerne i redditi prodotti all’estero che non siano stati dichiarati, in forza del principio della worldwide taxation.
In finale, e sempre in materia di esterovestizione societaria, parrebbe essere possibile ipotizzare che si configuri la fattispecie penalmente rilevante di cui all’articolo 3 del D.Lgs. n. 74/2000, che punisce il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, nel caso in cui il Fisco accerti la “creazione” all’estero di società prive di reale struttura organizzativa che vengano affiancate a società di diritto italiano, al fine di effettuare, solo “cartolarmente”, talune operazioni attive, sottraendo, conseguentemente, materia imponibile al Fisco italiano: “ ARTICOLO N.3
Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. 1. Fuori dei casi previsti dall’art. 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila (1);
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro un milione”
In definitiva è possibile argomentare come, quando l’impresa ha sede all’estero, ma la maggior parte dell’attività si svolge in Italia, la dichiarazione dei redditi va fatta nel nostro Paese, altrimenti si configura evasione fiscale. Ciò è suffragato dalla sentenza 8 aprile 2013, n. 16001 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la quale i giudici entrano nel tema delle c.d. “società esterovestite“, ovvero quelle con fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale, ma che, di fatto, svolgono la loro attività e perseguono il loro oggetto sociale in Italia.
Per principio generale, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ai fini delle imposte sui redditi, sono da considerarsi residenti in Italia le società e gli enti che hanno per la maggior parte del periodo d’imposta la sede legale, la sede amministrativa o l’oggetto principale nel territorio nazionale.
In applicazione della disposizione citata la giurisprudenza dominante afferma che “L’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74,art. 5, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinchè sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi“.
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Articolo aggiornato al 25 Maggio 2020