EVASIONE FISCALE INTERNAZIONALE: PROFILI PENALI
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Evasione fiscale internazionale: la stessa si realizza attraverso una condotta illecita, in quanto tale sanzionata dall’ordinamento giuridico, volta a sfuggire in tutto o in parte da un’obbligazione tributaria già insorta o che insorgerebbe laddove non venisse illecitamente impedito un fatto.
Articolo a cura dell‘Avvocato Bertaggia di Ferrara.
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Elusione fiscale: la stessa si manifesta ed interviene prima dell’insorgere del presupposto dell’obbligazione tributaria e consiste nel ricorso a procedimenti leciti che consentono appunto di non realizzare la fattispecie imponibile o di realizzarne una meno onerosa per il contribuente.
Affinché l’operazione economica possa essere qualificata elusione occorre che la stessa sia validamente e regolarmente documentata all’amministrazione finanziaria e che manchi, per definizione, una norma tributaria o di diritto civile che la vieti espressamente.
Queste caratteristiche impediscono che l’elusione possa divenire evasione fiscale e, in particolare evasione fraudolenta di rilevanza penale.
EVASIONE FISCALE INTERNAZIONALE ED ELUSIONE FISCALE
Ciò è conseguenza dell’internazionalizzazione delle imprese le quali, in un ambiente caratterizzato da una sempre maggiore integrazione delle diverse realtà economiche, si trovano a gestire sedi e filiali in stati diversissimi dal punto di vista fiscale la quale peraltro resta ancorata alla territorialità della potestà impositiva. Come effetto diretto di tali situazione fiscale si assiste ad una dilatazione delle situazioni di doppia imposizione con il conseguente crearsi di comportamenti finalizzati all’evasione fiscale internazionale ed all’elusione internazionale, caratterizzati da una molteplicità di forme e di modelli.
Nel concreto però, le operazioni con paesi a bassa fiscalità sono state da sempre ricondotte nell’area dell’elusione internazionale, come confermato dalle scelte operate dal legislatore italiano con le prime disposizioni contro le legislazioni dei paradisi fiscali (legge n. 413/1991).
La stessa disciplina in materia di società controllate estere (CFC), introdotta recentemente nel nostro ordinamento, mira a limitare un fenomeno di elusione fiscale internazionale quale il «tax deferal», ossia l’utilizzazione di società domiciliate in «paradisi fiscali» per eludere o differire il pagamento di imposte nazionali a prescindere da logiche operative e/o produttive di gruppo.
Questa pratica, infatti, viola i principi della neutralità e trasparenza in materia di esportazione di capitali e di localizzazione produttiva soprattutto nel caso di regimi c.d. di «ring fencing», riservati esclusivamente a soggetti non residenti o a soggetti che nello Stato di localizzazione non svolgono alcuna attività economica.
Conseguentemente la normativa nazionale (contenuta nell’art. 167 T.U.I.R.) reagisce imputando, in sostanza, ai soggetti residenti, che detengono direttamente o indirettamente il controllo di una società localizzata in un paradiso fiscale, tutti i redditi da quest’ultima conseguiti e tale contrasto è stato esteso (art. 168 T.U.I.R.) anche alle ipotesi di collegamento societario qualificato, in cui il partecipante residente possa comunque attuare una politica di differimento nella distribuzione degli utili.
Interventi antielusivi particolarmente mirati a specifici comportamenti concernono la fittizia localizzazione all’estero di redditi attraverso soggetti interposti (art. 37 d.P.R. n. 600/1973) ovvero la creazione di strutture apparentemente non residenti ma in realtà gestite da centri decisionali in Italia.
Tipico esempio quello della residenza effettiva, che prende sempre il sopravvento su quella fittiziamente locata; altri esempi possono consistere nel ricorso a pratiche che tendono a conseguire illeciti risparmi d’imposta sui dividendi trasformati in interessi attivi a favore dei soci, oppure a modalità vietate di differimento d’imposta e di riporto delle perdite fiscali, nonché a tutti gli abusi derivanti da interposizioni di comodo, dall’utilizzo di stati a fiscalità privilegiata per triangolazioni elusive, dall’artificiosa esterovestizione della residenza o della sede fiscale.
La particolare configurazione di talune condotte, riconosciute e contrastate come elusive dall’ordinamento tributario, sollevano il problema della loro eventuale rilevanza penale nell’ambito del sistema sanzionatorio predisposto dal d.lgs. n. 74/2000.
Nel regime penale tributario italiano, come noto, l’archetipo dei reati di frode fiscale è rappresentato dalla «dichiarazione fraudolenta», ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, che richiede, per perfezionarsi, un comportamento ulteriore, coincidente con l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2) ovvero (art. 3) con una falsa rappresentazione contabile realizzato con il ricorso a mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento fiscale.
Ad ogni buon conto, nella categoria dei «mezzi fraudolenti» richiamata dall’art. 3 difficilmente possono essere ricomprese le varie pratiche elusive, nonostante la presenza nello stesso decreto di norme che potrebbero teoricamente ricomprenderle. Nel concreto vi sono una serie di situazioni e comportamenti, coincidenti con o affini all’elusione internazionale, che si verificano spesso nella prassi e che possono integrare anche fatti penalmente rilevanti.
Quali sono i comportamenti fiscali elusivi penalmente rilevanti?
a) trasferimento fittizio della residenza all’estero: a volte si a volte no. Secondo determinata giurisprudenza non realizza un comportamento fraudolento o un’evasione fiscale internazionale poiché il soggetto agente, dopo il trasferimento fittizio di residenza in un paese a fiscalità privilegiata, si limita a non dichiarare alcunchè ma non ad indicare elementi passivi fittizi o elementi attivi di ammontare inferiore a quelli realizzati, non vi è, pertanto, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie.
Peraltro tale situazione è considerata dall’ordinamento tributario il quale presume che il trasferimento di residenza, in uno dei paesi compresi nella c.d. «black list», abbia finalità elusive e, salva l’eventuale prova contraria da parte del contribuente (con inversione dell’onere della prova), non ne ammette i vantaggi fiscali.
Secondo diverse interpretazioni giurisprudenziali invece, l’esterovestizione della residenza fiscale, unitamente ad altre modalità volte ad ostacolare l’accertamento, sarebbe una peculiare forma forma di evasione fiscale internazionale posta in essere da soggetti evasori totali di difficile individuazione.
La giurisprudenza prevalente, ad ogni buon conto, è favorevole ad individuare gli estremi dell’omessa dichiarazione, ex art. 5 del d.lgs. n. 74/2000.
b) Interposizione soggettiva fittizia: trattasi di un comportamento finalizzato all’abbattimento dell’imponibile che, di norma, integra una classica fattispecie elusiva, infatti l’art. 37, comma terzo, del d.P.R. n. 600/1973 provvede a disconoscerne completamente, sul piano fiscale, i vantaggi, imputando i relativi redditi al vero possessore per interposta persona, individuato anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti.
Tale fattispecie di simulazione soggettiva, diventa di certo penalmente rilevante ove siano emesse od utilizzate fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;
c) utilizzo di «società di comodo», cioè strutture societarie non operative costituite all’unico scopo di divenire centri di imputazione di proventi e redditi che sarebbero in altro modo di riferimento a terzi soggetti. Tali strutture, se ben gestite possono essere utilizzate, se residenti in paesi a fiscalità privilegiata, a diminuire il carico fiscale del soggetto controllante italiano.
Dal punto di vista squisitamente penale, sembra possibile qualificare il ricorso alle società di comodo come fraudolento, ma soltanto quando tali società non abbiano concreta operatività e reali finalità imprenditoriali. Il tutto esige quindi un’indagine di particolare complessità, sempre particolarmente difficoltosa;
d) gestioni intragruppo ed operazioni di «transfer pricing». Tali pratiche, di particolare complessità, sono adatte in maniera pressochè esclusiva a grossi gruppi internazionali: le stesse possono essere rette da ragioni esclusivamente fiscali. Tali comportamenti vengono affrontati dal legislatore italiano con la previsione dell’art. 110, comma 7 T.u.i.r., in base al quale i prezzi delle transazioni in questione vengono rideterminati sulla base del «valore normale» dei beni e servizi scambiati nei rapporti interni fra le società.
Il fenomeno del transfer pricing non sembrerebbe integrare la previsione delittuosa dell’art. 3 d.lgs. n. 74/2000 perché le operazioni poste in essere sono comunque esistenti sotto il profilo materiale e giuridico e mancherebbe del tutto la «falsa rappresentazione contabile».
D’altronde è la fumosità stessa della «dichiarazione infedele» (art. 4 d.lgs. n. 74/2000) che può sollevare la questione dell’eventuale rilevanza penale dei fatti di elusione fiscale sia interna che internazionale. Tale domanda può essere risolta in senso negativo nella considerazione che l’attuazione della pratica elusiva non dovrebbe comportare l’indicazione nella dichiarazione annuale di elementi attivi inferiori a quelli effettivi né di elementi passivi fittizi.
Nell’attuale formulazione, la norma è enucleata sull’aspetto della dissimulazione dell’origine delittuosa dei proventi che si sostituiscono o si trasferiscono o in relazione ai quali vengono compiute altre operazioni per ostacolare l’identificazione della provenienza criminale. Si estende la configurabilità del riciclaggio al trattamento dei proventi di qualsiasi delitto non colposo, e punisce tutte le possibili condotte dell’articolato processo di occultamento e di reimpiego nei circuiti economico-finanziari.
In tale peculiare fenomenologia, un ruolo centrale è rivestito dai mercati finanziari, poiché la presenza di intermediari compiacenti e/o collusi aumenta la possibilità di utilizzare il sistema dei pagamenti e del credito per obiettivi di riciclaggio e di reimpiego delle risorse illecite.
Vi è però da rammentare come le nuove tecnologie e lo sviluppo delle reti, unito al proliferare di strumenti finanziari innovativi ed alla accentuata mobilità dei capitali, trasferibili telematicamente in un ambiente di globalizzazione dei mercati, hanno ulteriormente accresciuto le possibili offerte di riciclaggio, del denaro «sporco». D’altro lato però dette nuove tecnologie hanno esponenzialmente aumentato le possibilità di tracciabilità di ogni movimento finanziario, e quindi la scoperta del reo.
Ricordiamo altresì che l’esistenza di aree geoeconomiche e geopolitiche che presentano condizioni favorevoli sotto il profilo del tasso di occultamento di somme (paesi off-shore, paradisi finanziari) attrae l’attenzione di soggetti economici in cerca di vantaggi e immunità fiscali in ambito di evasione fiscale internazionale.
Soggetti criminali organizzati hanno altri modi per riciclare il danaro: sicuramente non passando per giurisdizioni off shore.
Erano proprio gli ambienti finanziari e le aree off shore a costituire tradizionalmente luogo di incontro di due fenomeni illeciti sicuramente interconnessi: il riciclaggio e l’evasione fiscale internazionale; attualmente, dopo la scomparsa di tali facilitazioni da quasi tutte le nazioni un tempo meta di tali fenomeni (dalla Svizzera a San Marino, da Panama a Singapore), è divenuto pressochè impossibile riuscire a trasferire somme in tali luoghi senza essere tracciati. Diviene quindi sempre più difficile, per il privato, compiere atti di evasione fiscale internazionale.
Con le nuove fattispecie delittuose introdotte sembra, peraltro, non agevole sostenere che la frode fiscale costituisca delitto presupposto del riciclaggio, in quanto il momento consumativo del reato fiscale si realizza esclusivamente in sede di presentazione della dichiarazione fraudolenta o infedele e, in genere, ad avvenuto superamento di determinate soglie quantitative, per cui appare arduo dimostrare, oltre al dolo specifico, la consapevolezza da parte dell’autore degli elementi particolari del reato presupposto, se non tentando di ricostruire l’elemento soggettivo in termini di dolo eventuale.
In definitiva è possibile affermare come con le nuove tecniche investigative, con la pressoché totale scomparsa di giurisdizioni off shore compiacenti, con l’estensione dei controlli bancari in tempo reale, con gli enormi ed assoluti poteri attribuiti all’amministrazione finanziaria dello stato, il riciclaggio frutto di mera evasione fiscale pare essere un fenomeno in via di attenuazione, data la concreta impossibilità di muovere somme illecite di danaro da banca a banca (per non parlare dei contanti-impossibili da movimentare).
Diverso discorso (di cui parleremo in un futuro articolo è possibile fare per il fenomeno del riciclaggio effettuato da organizzazioni terroristiche o criminali che, anzi, e proprio grazie alle norme repressive studiate solo per contrastare l’evasione fiscale spicciola, stanno aumentando sempre di più, in maniera, si dirà esponenziale. Basti pensare ai monimenti stimati in miliardi di dollari di organizzazioni terroristiche ben note nel periodo in cui si scrive (Aprile 2019).
In estrema sintesi pare possibile affermare che l’imprenditore oculato che voglia risparmiare le imposte debba creare e gestire realmente un società estera, trasferendo ivi il suo reale centro di interessi, nonchè la residenza, abbandonando ogni rapporto personale con l’Italia.
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Articolo aggiornato al 23 Dicembre 2022