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Imposta patrimoniale conti esteri. L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 e la crisi economica ad essa associata, unitamente all’aumento del debito pubblico -incrementato dai provvedimenti del governo per frenare l’epidemia e dagli aiuti alle imprese-, torna a diffondere il timore di una possibile imposta patrimoniale e la conseguente corsa alla tutela dei risparmi dei contribuenti. Imposta patrimoniale e conti esteri: cerchiamo di capire cosa succede.
Più precisamente l’imposta patrimoniale è un’imposta che colpisce il patrimonio mobiliare ed immobiliare (per esempio casa, beni mobili, azioni, obbligazione e conto corrente), sia delle persone fisiche che delle persone giuridiche, e può essere fissa o variabile. Nel primo caso tutti i contribuenti dovranno versarla per il medesimo importo, mentre nel secondo caso varia in rapporto all’entità del patrimonio. Si parla di imposta e non di tassa poiché non si versa a fronte di un servizio determinato e particolare, bensì per un servizio che lo Stato fornisce nel tempo. È bene sottolineare che si parla di imposta patrimoniale proprio perché essa viene calcolata sul patrimonio, indipendentemente dal reddito. Oggi la patrimoniale si trova al centro dell’attenzione poiché rappresenta un potenziale strumento per superare la crisi dettata dal coronavirus, attingendo però direttamente ai risparmi dei cittadini.
IMPOSTA PATRIMONIALE CONTI ESTERI: APRIRE IL CONTO ESTERO
Per questi motivi due domande sorgono in modo ricorrente tra i risparmiatori: è possibile sfuggire all’imposta patrimoniale depositando il proprio denaro su conti esteri? I conti esteri sono pignorabili?
Aprire un conto corrente estero è del tutto legittimo, sempre che la provenienza del denaro ivi depositato sia lecita. Tuttavia, è bene ricordare che il conto corrente deve essere dichiarato al fisco italiano, e non può esimersi dal sistema del monitoraggio fiscale. Per le persone fisiche, le società semplici e gli enti non commerciali il monitoraggio degli investimenti patrimoniali e finanziari esteri si effettua mediante la compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi. Le autorità fiscali Italiane, quindi, devono sempre essere informate dell’esistenza di conti correnti esteri, come previsto dal D.L. 167/90 convertito in legge n. 227/90, che rende il monitoraggio fiscale un adempimento obbligatorio per tutti i contribuenti.
IMPOSTA PATRIMONIALE E CONTI ESTERI: SONO PIGNORABILI?
Oltre al carattere obbligatorio della dichiarazione al fisco di conti esteri, è opportuno sottolineare che il trasferimento di somme di denaro presso tali conti non ne esclude comunque la pignorabilità.
A questo proposito, si possono distinguere tre principali strumenti di collaborazione tra Stati finalizzate al monitoraggio ed allo scambio di informazioni. Innanzitutto, il modello OCSE, ha introdotto diverse procedure di riscossione all’estero delle imposte, riconoscendo la possibilità di modellarne il contenuto in base a specifiche esigenze concrete, ad esso si affianca la Convenzione sulla mutua assistenza in materia tributaria (MAAT), intercorsa tra OCSE e Consiglio d’Europa, la quale prevede la collaborazione tra gli Stati qualora il titolo esecutivo non sia contestato, infine, nell’ambito dei Paesi dell’Unione Europe, assume importanza centrale la Direttiva 2010/24/UE (recante le norme di mutua assistenza per il recupero di crediti tributari sorti nel territorio nazionale o in altro Stato dell’Unione Europea), attuata in Italia con il d.lgs. 149/12.
Questo decreto sancisce un meccanismo di collaborazione tra Stati in forza del quale, nell’ambito dell’Unione Europe, uno Stato può richiedere di essere coadiuvato da un altro nel recupero delle imposte che formano oggetto del titolo esecutivo (che consente l’esecuzione forzata nello stato richiedente).
In concreto, l’Autorità fiscale di uno Stato (in Italia, per esempio, l’Agenzia delle Entrate), a fronte del mancato pagamento di un debito fiscale, può richiedere l’assistenza all’Autorità fiscale di un altro Stato membro, la quale fornirà al richiedente tutte le informazioni utili al recupero del credito fiscale, avvalendosi anche delle proprie strutture territoriali per ottenerlo. Inoltre, se il credito deriva da un’imposta (come nel caso della patrimoniale), le informazioni tra gli Stati sono fornite anche senza la necessità di una preventiva richiesta. Questo rappresenta, come avevamo già detto in un altro articolo, la fine definitiva del mondo offshore come si era abituati ad intenderlo.
IMPOSTA PATRIMONIALE E CONTI ESTERI: LA PROCEDURA DI RISCOSSIONE INTERNAZIONALE
L’assistenza, come espressamente stabilito dall’art. 8 del d.lgs. 149/12, può essere domandata quando nello Stato richiedente siano state avviate le procedure di recupero, salvo il caso in cui non vi siano beni utili nel territorio dello Stato adito o che lo stesso sia in possesso di specifiche informazioni secondo cui l’interessato dispone di beni nel territorio nazionale. Non solo, l’assistenza è ammessa senza che siano state avviate le procedure di recupero anche quando le stesse si presentino come eccessivamente difficoltose.
Quindi, per attivare il meccanismo di collaborazione sono sufficienti due presupposti: l’esistenza un titolo esecutivo (la cartella esattoriale, per esempio, ha valore di titolo esecutivo) non contestato, e l’inesistenza beni da sottoporre ad esecuzione nello Stato richiedente (o che l’esecuzione risulti eccessivamente difficoltosa).
Da ciò deriva che ove vi sia un conto corrente estero, ed il debito dovuto al mancato pagamento di un’imposta – come può essere la patrimoniale – non sia recuperabile in Italia, è possibile e lecita l’esecuzione sul conto estero, secondo le regole del pignoramento presso terzi perviste dal nostro ordinamento.
IMPOSTA PATRIMONIALE E CONTI ESTERI: LA NOTIFICA DEGLI ATTI
Il d.lgs. 149/12 stabilisce anche un meccanismo di cooperazione per quanto riguarda la notificazione degli atti. In particolare, l’Autorità richiedente di uno Stato membro può chiedere l’assistenza per la notifica nel caso in cui non sia in grado di provvedervi conformemente alle norme dello Stato membro in cui essa ha sede, oppure quando tale notifica dia luogo a difficoltà eccessive. La richiesta di collaborazione nella procedura di notifica, come precisato dall’art. 7 del decreto in parola, deve essere accompagnata da un modulo standard contenente le informazioni sui documenti da notificare. La notifica avverrà, poi, da parte degli Uffici di collegamento dello Stato adito in base alle normi vigenti sul territorio nazionale, e successivamente i medesimi forniranno le autorità richiedenti tutte le informazioni relative alla notifica stessa.
All’interno dell’Unione Europea, quindi, in forza di questi meccanismi di collaborazione, vi è un flusso continuo di informazioni che vengono scambiate tra gli Stati membri e un’assistenza reciproca per quanto concerne la fase dell’esecuzione, il che da un lato rende impossibile l’occultamento di conti correnti alle Autorità fiscali, e dall’altro lascia libera la strada alla possibilità di pignorare tali conti.
Quando si parla di pignoramenti di conti correnti esteri è bene precisare che è necessario considerare anche l’aspetto dell’opportunità dell’esecuzione, poiché il meccanismo di notificazione ed esecuzione su un conto corrente estero può essere molto dispendioso.
Inoltre, è opportuno sottolineare che, in ogni caso, il segreto bancario, sia nei Paesi dell’Unione Europea che in quelli extraeuropei, vale sempre per i privati, ma non per il fisco. Di conseguenza, sarà impossibile ed illecito occultare al fisco l’esistenza di tali conti anche ove essi siano aperti in Paesi extra-UE.
IMPOSTA PATRIMONIALE E CONTI ESTERI: IL PIGNORAMENTO DEI CONTI CORRENTI IN UE
Il creditore può pignorare i conti bancari del debitore in tutta l’Unione Europea.
Questo dice il regolamento (Ue) n. 655/2014, che ha istituito una procedura per l’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari, al fine di facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale. Al regolamento 655/2014 è seguito, in sede europea, il regolamento di esecuzione (Ue) n. 2016/1823, al quale è allegata la modulistica utilizzabile dagli interessati.
Il tutto avviene con un blocco effettuato dal provvedimento del tribunale di uno stato membro dei fondi detenuti nel conto bancario di un debitore in un altro stato membro.
La procedura si applica ai crediti transfrontalieri in materia civile e commerciale e cioè quando il conto bancario, è detenuto in uno stato differente da quello in cui il creditore è domiciliato o in cui sussiste la giurisdizione del giudice adito.
La procedura ha il suo fulcro in un’ordinanza di sequestro conservativo, per ottenere la quale il creditore deve dimostrare che sussiste un rischio concreto. Il regolamento ha predisposto un modulo specifico per la presentazione della richiesta di ordinanza di sequestro conservativo, accompagnato da tutta la documentazione giustificativa.
Per garantire la concretezza dell’esecuzione, il debitore non ne viene informato prima della sua emissione.
Inoltre, il creditore che non dispone delle informazioni sul conto bancario del debitore può, in determinate condizioni, richiedere all’autorità giudiziaria di ottenere le informazioni sul conto dalle autorità preposte nello stato membro dell’esecuzione.
È questo una delle fasi, che viene meglio precisata dal decreto legislativo in esame. L’ordinanza di sequestro conservativo emessa in uno stato membro è riconosciuta ed è esecutiva negli altri stati membri senza bisogno di una procedura speciale o di una dichiarazione di esecutività. Il regolamento prevede che la banca abbia l’obbligo di dichiarare, per mezzo di un apposito modulo, se l’ordinanza abbia portato al sequestro conservativo di somme appartenenti al debitore.
Tenete quindi presente queste circostanze prima di credere che sia sufficiente trasferire i propri fondi all’estero per bloccare un pignoramento. Non è questo il modo.
IMPOSTA PATRIMONIALE E CONTI ESTERI: CONTO ESTERO OCCULTO. POSSIBILE?
La possibilità di aprire un conto corrente estero che resti occulto alle autorità fiscali è da escludere fermamente: l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha infatti predisposto uno standard globale per lo scambio di informazioni fornite dalle istituzioni finanziarie tra le autorità fiscali delle varie nazioni (si tratta di più di 100 Paesi). Tale standard si compone di un modello di accordo intergovernativo che definisce le norme che regolano lo scambio di informazioni (che può essere sia bilaterale che multilaterale); del Common Reporting Standard o CRS, ossia un insieme di regole comuni che disciplinano le procedure per l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica e di comunicazione; un commentario e alcune regole tecniche per la trasmissione delle informazioni.
Al CRS hanno aderito i seguenti Paesi (aggiornato al 2019): Andorra, Arabia Saudita, Argentina, Australia, Austria, Azerbaijan, Barbados, Belgio, Bonaire, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Cipro, Colombia, Corea, Croazia, Danimarca, Estonia, Federazione Russa, Finlandia ( incluse Isole Åland), Francia (incluse Guadalupa, Guyana francese, Martinica, Riunione, Saint Martin e Mayotte, Saint Barthélemy), Germania, Giappone, Gibilterra, Grecia, Groenlandia, Guernsey, Hong Kong, India, Indonesia, Irlanda, Islanda, Isola di Man, Isole Cook, Isole Faroe, Israele, Jersey, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malesia, Malta, Mauritius, Messico, Monaco, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Pakistan, Panama, Polonia, Portogallo (incluse Azzorre e Madera), Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Popolare Cinese, Repubblica Slovacca, Romania, Saba, San Marino, Seychelles, Singapore, Sint Eustatius, Slovenia, Spagna (incluse le Isole Canarie), Sudafrica, Svezia, Svizzera, Ungheria, Uruguay.
Salterà sicuramente all’occhio l’assenza, nell’elenco, degli Stati Uniti. Questo poiché il monitoraggio fiscale da parte degli Stati Uniti per quanto concerne i patrimoni situati all’estero è regolato dai FACTA: si tratta di una normativa finalizzata al contrasto dell’evasione fiscale dei contribuenti statunitensi che fanno investimenti tramite intermediari finanziari esteri, il cui funzionamento è similare a quello del CRS.
La funzione del Common Reporting Standard è quindi propriamente quella di concertare gli Stati ai fini dell’identificazione di tutti coloro che abbiano disponibilità patrimoniali all’estero, e facilitare i controlli da parte degli Stati di residenza di tali soggetti.
Più concretamente, su tale base, le banche e le istituzioni finanziarie dei Paesi aderenti raccolgono informazioni anagrafiche e patrimoniali sul soggetto (sia persona fisica che persona giuridica) il cui beneficiario è un soggetto residente all’estero in uno Stato aderente al CRS, successivamente tali informazioni vengono trasmesse alle autorità di competenza nel Paese di residenza (nel caso italiano, all’Agenzia delle Entrate). Questo meccanismo non solo consente di tenere monitorati i flussi di patrimoni a livello globale, ma rende anche pressoché impossibile l’occultamento di patrimoni al fisco, anche perché, come si ripete, tale scambio avviene in modo automatico.
È bene sottolineare che anche gran parte dei Paesi c.d. off-shore, attualmente, hanno aderito al CRS, con la conseguenza che i conti correnti ivi aperti non sono esenti dallo scambio di informazioni finanziarie tra Stati.
IMPOSTA PATRIMONIALE E CONTI ESTERI: PIGNORABILI SI O NO? LE CONCLUSIONI
Anche se prima facie l’apertura di un conto estero potrebbe apparire come una soluzione semplice per sfuggire alle imposte in genere ed alla patrimoniale in particolare, a ben vedere ciò non porterebbe di certo al risultato sperato, infatti il flusso continuo di informazioni che collega tutti gli Stati non solo a livello europeo, ma a livello globale, rende impossibile l’occultamento di somme alle autorità fiscali, ma finisce, invece per esporre l’ingenuo risparmiatore al rischio di un pignoramento da parte dell’Autorità finanziaria del proprio Paese.
Questo discorso vale in assoluto per quello che concerne i Paesi in primis della Comunità Europea, ma anche in tutti quelli (praticamente la stragrande maggioranza delle nazioni del mondo) che hanno aderito ai CRS.
Diverso discorso vale, invece, per le giurisdizioni black list. Teoricamente, non essendo queste comunicative con gli Stati nazionali dei correntisti, si potrebbe, o meglio si può, ipotizzare una mancanza di possibilità di pignoramento di tali conti. Vero, però, è che tali giurisdizioni sono sempre più limitate ed inaffidabili, ve ne riportiamo l’elenco:
Samoa americane;
Figi;
Guam;
Oman;
Samoa;
Trinidad e Tobago;
Isole Vergini degli Stati Uniti;
Vanuatu.
A questi, che sono i più noti, si aggiunge qualche Stato africano privo di concreta giurisdizione (quale la Libia e la Somalia) e pochi altri atolli dell’Oceano Pacifico (come le Isole Marshall).
Chiaramente, al di là del fatto che è vietato e non consigliato aprire conti correnti esteri senza dichiararli, vi è da chiedersi quale sia il risparmiatore che metterebbe i propri soldi in Somalia o alle Isole Vanuatu, in una banca priva di qualsivoglia tipo di garanzia, rendendo di fatto impossibile recuperare il proprio denaro od effettuare transazioni internazionali con i propri soldi, a costi altissimi, e con il costante rischio di essere scoperti dall’Autorità fiscale della propria nazione.
In conclusione, quindi, possiamo affermare con certezza che un’eventuale patrimoniale che colpisca le attività finanziarie dei residenti italiani sarà, purtroppo, da pagare, non essendo concepibili né leciti mezzi da utilizzare per sfuggire a tale imposta.
Diverso il discorso, invece, se un residente italiano è proprietario di quote di società estera regolarmente attiva, operante all’estero e dichiarata nel quadro RW, ma questo sarà oggetto di un ulteriore e approfondita disamima.
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