Pianificazione fiscale internazionale: una possibilità reale o una serie di attività elusive? Scopriamolo assieme con questo studio.
Fortunatamente, anche in questi difficili momenti (Novembre 2018) vi sono ancora ampi spazi riconosciuti alla concorrenza lecita tra regimi fiscali, il tutto fa sì che si presentino alle imprese ampie possibilità di ottimizzare il carico fiscale attraverso la dislocazione su base internazionale delle attività produttive.
PIANIFICAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE: DELOCALIZZAZIONE DELLE IMPRESE
La concreta (e non immaginifica) possibilità di delocalizzazione delle imprese è sicuramente effettivamente realizzabile per alcune tipologie di attività, soprattutto per quelle produttive di redditi di capitale, più che non per altre, direttamente legate alla presenza fisica personale dell’imprenditore in un determinato luogo. Questo ovviamente cagiona differenti effetti sui sistemi fiscali. Esemplificativamente, nell’ambito delle imposte sul reddito, alcuni stati tendono a diminuire l’onere impositivo sulle attività finanziarie per non provocare una “fuga di capitali”, ma anche per incentivare gli investimenti esteri e quindi aumentare le tasse sul lavoro, altre giurisdizioni tendono ad incrementare l’imposizione sui consumi o sul patrimonio immobiliare più che non sul reddito.
Quando le attività produttive di reddito vengono localizzate in Paesi considerati a fiscalità agevolata, ovvero un soggetto residente in uno Stato a fiscalità “ordinaria” ha rapporti con soggetti residenti in tali Paesi, le norme “anti-paradisi fiscali” di cui si è parlato operano in presenza dei relativi presupposti e in assenza di cause esimenti. In questi casi, quindi, la possibilità di una concorrenza sul piano fiscale viene eliminata alla radice, naturalmente in quanto tali norme siano effettivamente applicate, perché è stata effettuata a monte dal legislatore del Paese che ha adottato questa norma una valutazione sulla dannosità di tale concorrenza.
Chiaramente, dal canto loro, le imprese tendono all’ottimizzazione fiscale nell’ambito della concorrenza fiscale lecita, adottando scelte di localizzazione che si traducono in scelte di giurisdizioni con un diritto fiscale più confacente, secondo la concezione della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali. Ciò è ancora più evidente da quando è definitivamente tramontato il mondo offshore.
PIANIFICAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE: LA SCELTA DELLA GIURISDIZIONE FISCALE
Dobbiamo preliminarmente distinguere tra scelte reali (e giustificate) di delocalizzazione e scelte dettate esclusivamente dall’intento di fruire di vantaggi fiscali previsti da ordinamenti esteri in presenza di una non reale attività di alta amministrazione, che continua ad essere espletata con l’ordinamento di origine: proprio al fine di godere in quest’ultimo ordinamento dei vantaggi assicurati da tali ordinamenti esteri.
Tali scelte sono particolarmente rischiose, attesa la loro connotazione volta allo sfruttamento, più che non all’utilizzazione, di regimi fiscali più favorevoli previsti da determinate legislazioni statali.
Questo considerazione si arricchisce ulteriormente, rapportata all’ambito comunitario, in cui le libertà fondamentali di stabilimento e di libera circolazione delle persone e dei capitali comportano una tutela rafforzata della libera scelta del diritto fiscale applicabile, con riferimento anche alla effettiva localizzazione societaria. In questo ambito la questione è stata risolta dalla Corte di Giustizia con la nota sentenza Cadbury-Schweppes, con la quale è stato stabilito che la libertà di stabilimento consente di localizzare ai fini dell’imposta sul reddito un’impresa in un Paese comunitario anche per sole motivazioni fiscali, purché non si tratti di “costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale”.
PIANIFICAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE: L’ABUSO DEL DIRITTO FISCALE
Da tali discrepanze fiscali esistenti fra stato e stato (anche all’interno della Comunità Europea) nasce la nozione comunitaria di abuso del diritto fiscale, che la giurisprudenza nazionale, traendola dal principio costituzionale di capacità contributiva, utilizza con costanza (a volte forse in maniera eccessivamente rigorosa) per contestare la localizzazione all’estero di un’impresa fatta ai soli fini fiscali, senza valide ragioni economiche.
La giurisprudenza europea è però maggiormente propositiva e tutelante per le aziende, ricorderemo quindi la sentenza Centros (CGCE C-212/97 del 9/3/1999).
In tale caso la Corte di Giustizia Europea ha ritenuto legittimo lo stabilimento di una società in Gran Bretagna benché essa intendesse svolgere la sua attività solo in Danimarca. La tassazione doveva però avvenire in Danimarca, similmente alle aziende ltd inglese che lavorano in Italia con una stabile organizzazione, ed in questa nazione versano le imposte.
Quindi in materia fiscale la facoltà di decidere la giurisdizione è molto più limitata che in ambito societario, per intuibili motivi di opportunità fiscale. Operazioni legittime dal punto di vista societario, non lo sono da quello fiscale.
Da qui discende la necessità di affidare le proprire scelte imprenditoriali estere a professionisti realmente esperti in diritto societario internazionale.
PIANIFICAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE: LA CRISI DELLA LOCALIZZAZIONE DELLA SOCIETA’, IL WEB
In tale ambito è lo stesso concetto di localizzazione dell’attività ad essere entrato in crisi e di difficile reperimento: il web ha contribuito potentemente a questo cambio di prospettiva, quantomeno per alcuni, importanti, segmenti societari. Il web ha rese sempre più difficoltosa la ricerca dell’ordinamento fiscale giuridico di riferimento rispetto al quale valutare la liceità o la non abusività della localizzazione della sede legale e quindi della scelta del diritto societario e fiscale applicabile. Pensiamo soltanto ad Amazon, con sede legale in Lussemburgo, ed a Ryan Air, Google, Twitter, Yahoo, tutte con sede in Irlanda, nel cui ambito vi è anche la possibilità di attuare il c.d. Double Irish and Dutch Sandwich, cioè di sfruttare, i favorevoli effetti fiscali del trattato contro le doppie imposizioni tra Irlanda e Paesi Bassi, rimbalzando royalties tra due società irlandesi e una olandese, comediffusamente spiegato in questo articolo.
Restando in ambito di pianificazione fiscale internazionale, e di crisi del concetto di localizzazione fisica delle società, alcune imprese, ovvero quelle che svolgono la loro attività attraverso il web, oppure di raccolta e diffusione della pubblicità avvalendosi di dati spontaneamente forniti dagli utenti dei loro servizi di social network o di altro genere.
In casi come questi casi la residenza della società può essere agevolmente collocata nel Paese a fiscalità più conveniente, senza che possa facilmente contestarsi che in realtà l’attività, di carattere immateriale, venga svolta altrove. Aumenta quindi la libertà di scelta delle imprese e la concorrenza fiscale tra Stati.
Importante è, se si opera in determinati settori dell’economia, strutturarsi sin dalla creazione della società in tale modo, al fine di ottimizzare il prelievo fiscale complessivo.
PIANIFICAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE: CHI PUO’ ATTUARLA
Chi può attuare la pianificazione fiscale internazionale? In teoria tutti, in realtà però se non si posseggone reali filiali estere diventa estremamente problematico il gestire la fiscalità in maniera professionale, si rischia di effettuare solo dei tentativi di evasione od elusione fiscale, da condannare sempre.
Quindi se non vi internazionalizzate realmente, aumenterà sempre di più il divario tra il ridottissimo livello di tassazione dei gruppi multinazionali che possono sfruttare i più favorevoli regimi fiscali e quello delle piccole imprese operanti su base esclusivamente nazionale e delle persone fisiche.
Cambiare modo di lavorare e vivere è possibile, basta volerlo realmente: disancoratevi dalle consuete abitudini se volete realmente prosperare e guadagnare.
D’altronde se valutiamo la fiscalità italiano con quella dell’aerea Euro, si resta sorpresi per l’imposizione fiscale italiana assurdamente eccessiva, sopratutto se paragonata a quella degli altri paesi membri: uno sguardo per comprendere: negli ultimi venti anni si è assistito ad una netta discesa dell’aliquota media europea, passata dal 35% al 23% e si è anche ridotta la distanza tra l’aliquota più alta e quella più bassa tra i Paesi ora facenti parte dell’UE; distanza che però ancora attualmente è molto elevata, se si pensa che la Bulgaria ha un’aliquota solo del 10%. Negli ultimi quattro anni la tendenza delle aliquote è rimasta stabile, ma nel 2014 quattro Stati hanno ridotto sensibilmente il Corporate Tax Rate, tra cui il Regno Unito, che lo ha portato dal 23% al 21% e progetta di ridurlo ulteriormente.
Neanche a dirlo, l’Italia non si colloca brillantemente in questa classifica, con un’aliquota del 31,4%, calcolata come somma dell’aliquota IRES del 27,5% e dell’IRAP al 3,9% , a ciò si aggiunga che in Italia sono previste gravose addizionali IRES (non comprese in queste medie) a carico di alcuni settori produttivi introducendo una penalizzazione delle nostre imprese in ambito internazionale, ed a ciò si aggiunge una previdenza (INPS o Casse Prrofessionali) che in realtà, data la concreta assenza di controprestazioni, è una tassa anch’essa, e che fanno schizzare vicino al 65/70% la reale aliquiota fiscale in Italia, rendendo, paradossalmente, non conveniente economicamente lavorare..
Le imprese italiane, che già si connotano per una scarsa redditività dovuta tra l’altro ad insufficienti investimenti sia pubblici che privati nella ricerca e nell’internazionalizzazione, soffrono perciò ulteriormente di un peso fiscale che ha pochi uguali in Europa con riguardo alle imposte sul reddito e che è in assoluto il più elevato se si guarda alla pressione fiscale complessiva
PIANIFICAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE: L’ECONOMIA DIGITALE. I NUOVI CONTROLLI
La new economy ha imposto l’affermazione di beni dematerializzati/digitalizzati dalla cui cessione derivano profitti sottoposti a tassazioni in luoghi diversi da quelli in cui le operazioni si perfezionano (fenomeno della de-territorializzazione delle attività).
L’Ocse e l’Unione Europea si sono impegnate su questo versante e, su sollecitazione dei Ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche centrali del G20 (19 aprile 2013), hanno individuato (2009) nello scambio automatico di informazioni tra autorità fiscali — cd. Standard for automatic Exchange of financial account information in tax matters — lo strumento più efficace e adeguato per prevenire e contrastare distorsioni di sistema e per combattere fenomeni fraudolenti. Su questo abbiamo già parlato diffusamente.
La spinta propulsiva all’adozione dello scambio di informazioni automatico ha avuto origine nell’approvazione del Facta (Foreign Account Compliance Act), accordo bilaterale sottoscritto tra Stati Uniti e Paesi Terzi che ha costituito il modello al quale i Paesi del G20 e l’Unione Europea si sono ispirati per l’elaborazione dello Standard, poi approvato dall’Ocse nel 2014.
PIANIFICAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE E COMMON REPORTING STANDARD: FRA VOLONTA’ DI LAVORARE E CONTROLLI FISCALI
Il Common Reporting Standard consente infatti di censire le informazioni relative ad investitori non residenti che hanno conti, depositi e disponibilità finanziarie anche schermate (società, trust o entità opache cd. “look through approach”) presso le Istituzioni finanziarie (banche, intermediari finanziari, brokers, compagnie assicurative, organismi di investimento collettivo [Oicvm], fondi comuni) di uno Stato. Queste informazioni vengono poi condivise con cadenza periodica (annuale) — senza preventiva richiesta, né su iniziativa spontanea dei Governi — con le autorità amministrative degli Stati di residenza degli investitori che hanno aderito allo Standard e/o che hanno stipulato accordi bilaterali o multilaterali che ne prevedono l’implementazione. In Italia troviamo (anche fra i professionisti) ancora personaggi convinti che tutto ciò non sia vero…un dramma! Se l’imprenditore non si adeguerà a tali epovali cambi di sistema sarà finito, estinto come i dinosauri.
Ma l’imprenditore accorto ed oculato, con il nostro aiuto, trarrà maggiore utilità da una speculare chiarezza fiscale a livello globale, effettuando maggiori guadagni, nella legalità e con l’intelligenza. Bisogna sempre capire come fare a guadagnare di più, non a spendere di meno.
I CRS comunicano, in maniera automatica, i redditi di lavoro, le remunerazione degli amministratori e/o dei dirigenti, le assicurazioni sulla vita, le pensioni, le proprietà e i redditi immobiliari (Direttiva 2011/16/UE), gli interessi, dividendi e tipologie analoghe di redditi di capitale, i saldi di conto e i proventi delle rendite di attività finanziarie (Direttiva 2014/107/UE), ed i rulings transfrontalieri, e gli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento (Direttiva n. 2015/2376/UE). Comunicano inoltre i ricavi, gli utili lordi, le imposte pagate e maturate, insieme con altri elementi indicatori di un’attività economica effettiva che le società controllanti di imprese multinazionali devono fornire all’Amministrazione finanziaria del Paese di residenza (Country-by-Country Reporting o rendicontazione Paese per Paese) per ogni giurisdizione in cui le società controllate sono collocate (Direttiva n. 2016/881/UE).
E da ultimo alle informazioni in materia di antiriciclaggio, alle procedure, ai documenti e ai meccanismi relativi che consentono di identificare il beneficiario effettivo del conto estero nel caso in cui il titolare sia una struttura intermediaria (Direttiva 2016/2258/UE)
Lo scambio automatico prevede la comunicazione periodica di dati bancari, finanziari, patrimoniali e reddituali relativi a contribuenti (persone fisiche e giuridiche) che detengono disponibilità economiche all’estero. Questo consente all’Italia di attingere, in qualunque momento, a queste informazioni, — messe in comunicazione su una banca dati centrale, accessibile a tutti i Paesi UE e alla Commissione UE — e monitorare gli effetti prodotti sul gettito fiscale nazionale dagli accordi preventivi o dai ruling. Dati utili ai fini, lo si ripete, dell’accertamento delle disponibilità e degli imponibili dichiarati dai contribuenti che hanno ‘rapporti’ con l’estero
Il modo di ottimizzare le risorse aziendali ed i rapporti con il fisco è necessariamente cambiato, senza tenere conto di ciò, un’azienda non ha più nessuna possibilità di espandersi nel mercato globale, noi possiamo aiutarti: contattaci e sapremo guidare il tuo successo.
PIANIFICAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE: LO SCAMBIO AUTOMATICO DI INFORMAZIONI TRA STATI: GLI EFFETTI PER LE IMPRESE ITALIANE
La messa a regime dello scambio automatico di informazioni fiscalmente sensibili, trasmissibili a prescindere dalla loro ‘prevedibile rilevanza‘, dalle problematiche connesse alle cd. fishing expeditions e dalla tutela dei diritti di privacy, aumenta i controlli dello Stato nei confronti di contribuenti con attività internazionale e ne aumenta le prerogative. Ciò rende impossibile schemi semplificati di evasione fiscale, spingendo l’impresa ad attuare una reale delocalizzazione trasferendosi realmente e non fittizziamente all’estero.
Tale ragionamento si giustifica per la circostanza che l’atteggiamento che ha assunto lo Stato nei confronti dei contribuenti nazionali con disponibilità economiche all’estero o che esercitano attività internazionali è meno garantista rispetto a quello riconosciuto, per il momento, ai contribuenti solo domestici. Per questo è essenziale interrompere realmente e deffinitivamente ogni rapporto con l’Italia e diventare esteri a tutti gli effetti di legge, con un reale trasferimento personale ed aziendale.
Lo scambio automatico di informazioni, tecnica di cooperazione ritenuta più efficace, reca in sé un importante sacrificio dei diritti del contribuente.
Lo scambio automatico non lascia dunque al contribuente alcun margine di difesa, né in ambito europeo, né sovranazionale, a differenza del vecchio scambio su richiesta in relazione al quale fu riconosciuto al privato qualche minimo spazio di tutela.
Tuttavia questa tutela ha subìto una seria battuta di arresto con il recepimento dello scambio automatico di informazioni.
La sua messa a regime dello scambio automatico impedisce infatti al contribuente di avanzare alcuna richiesta in merito alla legittimità della domanda di assistenza amministrativa, alla veridicità delle informazioni ottenute, alla possibilità di partecipare alla loro acquisizione.
Tanto che al contribuente non rimane che attendere che quei dati vengano utilizzati in sede nazionale per poi decidere se avvalersi degli strumenti di definizione del rapporto tributario offerti dall’ordinamento nazionale, o difendersi in ambito domestico, contestando nel merito la fondatezza e la legittimità delle informazioni acquisite a livello internazionale e poste a fondamento della pretesa impositiva.
PIANIFICAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE: LE CONCLUSIONI
Le conclusioni sono semplici: un’azienda italiana che voglia realmente internazionalizzarsi deve utilizzare l’estero non come uno strumento di evasione o elusione fiscale, ma come un reale ed effettivo stimolo alla sua crescita, delocalizzando con realtà l’azienda, aprendo reali filiali estere, spostando la produzione ed alcuni centri decisionali all’estero, in maniera tale da poter usufruire dei vantaggi fiscali legali che non sono appannaggio solo delle multinazionali, ma di ogni soggetto giuridico che sia in grado di precorrere i tempi attuali, svincolato da comportamenti e credenze del secolo scorso.
Possiamo aiutarti in questo percorso, chiamaci per ogni tua esigenza di internazionalizzazione societaria, potremo darti l’aiuto decisivo di cui hai bisogno: +390532240071 – +393483610420
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Avvocato dal 1993, Cassazionista dal 2009. Collaboro con imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale e nella creazione di società estere. Mi occupo anche di penale internazionale ed italiano. Coadiuvo uno Studio con numerosi collaboratori professionisti, sia avvocati che commercialisti. Se hai una questione giuridica da risolvere, contattami, troverò le risposte legali adeguate.
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