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Trust revocabile fiscalmente inesistente. Con la Risposta ad Interpello n. 106 del 15 febbraio 2021, l’Agenzia delle Entrate torna a pronunciarsi sul delicato tema della fiscalità del trust revocabile confermando, peraltro, l’orientamento interpretativo già delineatosi.
TRUST REVOCABILE FISCALMENTE INESISTENTE: IL TRUST ESTERO AUTODICHIARATO
Il caso è quello di un trust estero, revocabile, il quale si caratterizza, in particolare, per il fatto che il disponente e il beneficiario siano lo stesso soggetto. Su questo punto è necessario insistere e fare chiarezza.
Tuttora vi sono persone che si ostinano a creare trust autodichiarati, con confusione fra disponente e beneficiario: ovviamente è un atto di nessuna efficacia giuridica (quod nullum est nullum producit effectum), ma ciò nonostante, attratti non capiamo da cosa (probabilmente il prezzo basso), creano tali inutili e risibili strutture, invece che organizzarsi per effettuare una seria, e giuridicamente valida, tutela patrimoniale.
Di fronte all’esercizio da parte dell’Istante del potere di revoca integrale del trust, in relazione alla totalità dei beni costituenti il relativo fondo al fine di ottenerne la completa reintestazione, sorge il tema dell’eventuale assoggettamento all’imposta sulle successioni e donazioni del (ri)trasferimento in favore dell’Istante/disponente dei beni originariamente conferiti nel trust revocabile e, ancor prima, il tema dell’eventuale assoggettamento all’imposta indiretta dell’iniziale conferimento dei beni in trust.
TRUST REVOCABILE FISCALMENTE INESISTENTE: LA DECISIONE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
L’Agenzia delle Entrate affronta la questione ricordando innanzitutto che ai fini dell’applicabilità dell’imposta sulle successioni e donazioni, riguardo ai trust, occorre far riferimento alle disposizioni di cui al D.L. n. 262/2006 e al D.Lgs. n. 346/1990 evidenziando che l’attribuzione di beni e/o diritti ai beneficiari di trust da parte del trustee potrebbe determinare l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni solo al verificarsi dei presupposti ivi previsti.
In particolare, nel caso di specie, merita rilievo la circostanza che il soggetto disponente coincida con il soggetto beneficiario del trust e, a tal proposito, l’Amministrazione finanziaria afferma che l’assenza di un trasferimento intersoggettivo preclude l’applicabilità dell’imposta di donazione per carenza del presupposto oggettivo di cui all’art. 1 del citato decreto legislativo, mancando un trasferimento di ricchezza.
Tale conclusione, trova altresì riscontro nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione che, nell’Ordinanza n. 10256 del 29 maggio 2020, ha chiarito che «solo l’attribuzione al beneficiario, che come detto deve essere diverso dal disponente può considerarsi, nel trust, il fatto suscettibile di manifestare il presupposto dell’imposta sul trasferimento di ricchezza».
Per concludere, appare opportuno ricordare la posizione dell’Agenzia delle Entrate sul tema dell’inquadramento di un trust revocabile sul piano fiscale, emersa dalle precedenti pronunce, sottolineando che un trust può essere considerato come soggetto passivo ai fini delle imposte sui redditi solo ove il trustee detenga un potere effettivo di amministrazione e gestione dei beni ivi apportati.
Pertanto, qualora il disponente si riservi la possibilità di esercitare qualche potere sul trust, quale è quello di revocarlo, quest’ultimo deve essere considerato come strumento meramente interposto rispetto al disponente con la conseguenza dell’imputabilità dei redditi prodotti dal trust direttamente in capo disponente.
In particolare, si assiste a una cristallizzazione dei principi emersi dalla famosa circolare n. 48/E/2007, per i quali appare ormai certo e chiaro che il trust revocabile “ai fini delle imposte sui redditi non dà luogo ad un autonomo soggetto passivo d’imposta cosicché i suoi redditi sono tassati in capo al Disponente“.
TRUST REVOCABILE FISCALMENTE INESISTENTE: ANALISI GIURIDICA REALE DEL TRUST
Il trust compone interessi comuni, seppur con logiche speciali di tutela. Non veicola in sé un’intenzione fraudolenta, infatti chi si prefigge come unico scopo il raggiungimento della segregazione patrimoniale per sottrarsi ai creditori potrà farlo in tanti altri modi. Ma non con il trust.
Gli interessi che il trust contempera sono estremamente variegati. Tra di essi, ricordiamo:
-il passaggio generazionale ed il superamento delle defatiganti controversie successorie tra i coeredi;
-la tutela dei soggetti “deboli” alla luce delle evidenti criticità manifestate nella prassi dagli istituti civilistici tradizionali (ad es., la scarsa efficienza del controllo giurisdizionale sull’amministratore di sostegno e il trust previsto dalla legge n.112 del 25 giugno 2016 sul ”Dopo di noi”);
-la predisposizione di garanzie morali ed economiche per le formazioni sociali more uxorio, quando la disciplina del diritto di famiglia non ne salvaguarda adeguatamente le sorti;
-l’assunzione di un ruolo politico da parte di un imprenditore, e la necessità di arginare il conflitto d’interessi emergente dalla commistione dei ruoli di ”controllore” e di ”controllato” (ad es. il ricorso al ”blind trust” per un’impresa partecipante a gare d’appalto pubbliche, il cui socio è stato eletto nella compagine della p.A. che le indìce e/o valuta, ai fini dell’aggiudicazione);
-la liquidazione di patrimoni aziendali ed il preservamento del loro valore economico;
-l’asset protection di players commerciali e professionali che intraprendono attività dagli esiti incerti;
-la stessa prosecuzione di attività di famiglia per le quali è necessario il possesso di determinate qualità (si pensi alla conduzione di una farmacia ed alla morte del soggetto familiare titolare della laurea, in relazione alla norma imperativa di cui all’art.12, co.8, L.475/1968.
Il fatto che il diritto dei trust non sia stato, finora, codificato dal Legislatore garantisce una maggiore duttilità dello strumento, scaturente dalla mancata tipizzazione, sotto un numerus clausus, di ipotesi applicative.
In termini di inquadramento sistemico, il trust può ritenersi appartenente all’insieme dei negozi giuridici unilaterali, non un contratto, perchè per il suo perfezionamento non è necessaria la partecipazione nè del trustee nè dei beneficiari: il vincolo di destinazione nasce per effetto della dichiarazione del disponente, mentre gli obblighi del trustee intervengono solo dalla sua accettazione del trasferimento; è tendenzialmente recettizio, ad eccezione del trust autodichiarato; a titolo gratuito (sono meno frequenti i casi in cui lo si costituisce in esecuzione di un obbligo assunto), ed in genere configura una liberalità nei confronti di altri soggetti determinati o determinabili; è tendenzialmente irrevocabile, difatti l’inserimento nell’atto istitutivo di clausole che prevedono ipotesi di revocabilità deve essere valutato dal redattore con estrema attenzione, in quanto potrebbero essere ritenute in sede di contenzioso la spia di una mancanza di volontà del disponente di spogliarsi dei beni conferiti nel fondo in trust; atipico, a causa variabile, che sorge per effetto della istituzione di un atto programmatico.
Se da un lato la menzionata atipicità rende il trust uno strumento straordinariamente flessibile, dall’altro l’Ordinamento italiano lo grava di una verifica sulla meritevolezza dell’interesse perseguito dalle ”parti”, nonchè sul rispetto dei limiti all’autonomia privata posti dalle norme interne.
Sul perseguimento di interessi meritevoli di tutela si è espressa in più occasioni la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità. Seppur presenti autorevoli pronunce secondo cui ”…la previsione normativa (cioè la Convenzione), preclude oggi ogni indagine sulla meritevolezza di tutela della causa astratta del trust, che va ravvisata nel programma di segregazione di guisa che un trust avente tutte le caratteristiche di cui all’articolo 2 della Convenzione debba comunque essere riconosciuto come esistente e produttivo di effetti ancorchè autodichiarato” (Trib. Sassari n. 12234/15), e ”la valutazione (astratta) della meritevolezza di tutela è stata compiuta, una volta per tutte, dal legislatore. La legge 16 ottobre 1989, n. 364…infatti, riconoscendo piena validità alla citata convenzione dell’Aja, ha dato cittadinanza nel nostro ordinamento, se così si può dire, all’istituto in oggetto, per cui non è necessario che il giudice provveda di volta in volta a valutare se il singolo contratto risponda al giudizio previsto dal citato art. 1322 cod. civ. (nella premessa alla Convenzione si afferma espressamente che si tratta di un istituto tipico dei Paesi di common law, adottato però anche da altri Paesi con alcune modifiche)” (Cassazione, Sez. III Civile, Ordinanza del 19 aprile 2018 n.9637), nutrita giurisprudenza ritiene ancora che: ”Ai fini del riconoscimento della validità del trust è tuttavia necessario valutare la meritevolezza ex articolo 1322 del codice civile della causa concreta, giustificando il ricorso al trust soltanto il perseguimento di interessi meritevoli di tutela giuridica…” (tra le altre, Trib. Milano del 03/05/2013 e Trib. Reggio Emilia del 14.05.07).
Nelle summenzionate pronunce si introduce una relazione diretta tra la previsione generica di meritevolezza di cui all’art. 1322, co. 2, c.c. e la previsione specifica di cui all’art. 2645-ter c.c. che, come noto, ha introdotto nel nostro Ordinamento la possibilità di ”segregare” alcuni beni per destinarli a scopi meritevoli di tutela specificamente indicati
Sul punto la giurisprudenza ha ritenuto che “Il vincolo di cui all’art. 2645 ter c.c. – norma da interpretare restrittivamente per non svuotare di significato il principio della responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. – non può essere unilateralmente autodestinato su di un bene già in proprietà con un negozio destinatario puro, ma può unicamente collegarsi ad altra fattispecie negoziale, tipica od atipica, dotata di autonoma causa” (Trib. Reggio Emilia del 10/03/2015, Trib. Monza del 20/01/2015).
Per il legislatore italiano, peraltro, ulteriore elemento essenziale per la validità del trust (che anche in ciò si differenzia dall’istituto di cui all’art. 2645-ter c.c.) è rappresentato dalla completa esclusione del bene in esso conferito dalla sfera giuridico/patrimoniale del disponente.
Il trust, dunque, si sostanzia nell’affidamento a un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale ”proprietario” (nel senso di titolare dei diritti ceduti) per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai beneficiari.
Ne consegue che “presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli sulla base delle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio” (Cass. Pen. n. 46137/2014, conformi Cass. pen. Sez. V, 24/01/2011, n. 13276, Cass. pen. Sez. III, 21/04/2017, n. 36801, Cass. pen. Sez. III, 07/11/2017, n. 20862).
”Nel mondo del trust si è affermata con prodigiosa rapidità la valenza aggettivale nell’espressione “sham trust”, così codificando un errore di prospettiva, perché l’attributo “sham” andrebbe riferito all’atto istitutivo o altro documento, non al rapporto giuridico…Questo errore di prospettiva non è percepito dal giurista di diritto civile, il quale istintivamente accosta “sham” a “simulazione” e, quindi, necessariamente carica il primo termine delle valenze concettuali del secondo, senza considerare…che non è mai esistita in common law una teoria giuridica della simulazione” (fonte: Corte Sammarinese per il Trust e i rapporti fiduciari, collegiale Presidente Maurizio Lupoi, a latere Antonio Gambaro – Paul Matthews. Causa n. 2017/04VG – Ordinanza del 5 dicembre 2017).
La Pronuncia richiamata riporta alcuni casi di Giurisprudenza anglosassone sullo ”sham”, in cui la categoria è stata ritenuta ricorrente quando, ad esempio:
” – in un trust autodichiarato da due persone, una delle due non aveva alcuna intenzione di fare nascere un trust e l’altra non si era neanche chiesta che cosa stesse firmando; – senza alcuna previa intesa fra disponente e trustee, nel corso del rapporto, il trustee accetti supinamente ogni richiesta che il disponente gli faccia, ma non quando il trustee valuti ciascuna volta tutti i fattori rilevanti; – quando le parti abbiano diversi reali intendimenti, purché entrambe accettino che il negozio che hanno stipulato non corrisponda alla loro apparente volontà e sia quindi una “pretence” ”.
L’intesa previa – l’unica prospettazione che collocherebbe il tema dello sham nell’area della simulazione di diritto civile – si ha quando il disponente ha voluto il trust per realizzare un progetto non esplicitato dall’atto istitutivo e il trustee – sebbene non formalmente tenutovi – esercita ogni suo potere per l’attuazione di quel progetto.
Possiamo, pertanto, ritenere che lo ”sham” non sia riducibile alla simulazione civilisticamente intesa.
Inoltre, il controllo da parte del disponente dei beni in trust, tenendo da parte il trustee, non conduce necessariamente a individuare uno “sham”, sia perché potrebbe trattarsi dell’inadempimento del trustee, sia perché potremmo trovarci di fronte ad un trust il cui trustee sia privo dell’ordinario compendio di facoltà che lo contraddistingue (come il nominee nel “bare trust”, o trust ”nudo”).
È discusso se un trust inizialmente “sham” possa divenire un trust ordinario quando, mutato il trustee, il nuovo agisca onestamente al solo vantaggio dei beneficiari.
Secondo alcune recenti pronunce non si ha peraltro “sham” senza un ulteriore requisito, quello del comune proposito di produrre nei terzi un falso convincimento circa la natura del rapporto.
Invero, alcune recenti posizioni legano lo “sham” all’agire fraudolento.
Questa varietà di regole interpretative dimostra che non esiste una concezione giuridica di “sham” generalmente condivisa.
”La giurisprudenza italiana ha accolto il termine “sham”…attribuendogli una accezione vicina a quella del termine inglese “pretence”, ossia “una mera apparenza”, e facendone regolarmente derivare la nullità del trust. Risultano numerosi impieghi del termine nella giurisprudenza civile di merito, usualmente nella accezione di “simulazione”, sebbene non appaia alcuna analisi del tema legata alla visione della simulazione degli atti unilaterali secondo il codice civile italiano (art. 1414, co. 3, c.c.)” (Ordinanza Corte sammarinese citata).
Occorrerà, in proposito, non limitarsi alla volontà – per così dire – “ufficiale” indicata nell’atto, ma avere riguardo alle circostanze che hanno prodotto tale volontà e, soprattutto, all’effettivo comportamento successivamente tenuto nello svolgimento dei rapporti negoziali.
Per quanto concerne in particolare lo sham trust, queste tipologie di atti sono state dichiarate simulate (e, quindi, nulle o, comunque, inefficaci) allorquando il disponente abbia mantenuto un controllo rilevante sull’attività compiuta dal trustee, potendosi ritenere in ragione di tanto che, di fatto, non vi era stato un effettivo spossessamento del patrimonio, ma si era perseguito l’unico -fraudolento- scopo di eludere i diritti dei terzi sul patrimonio del disponente.
Le Comunicazioni UIF costituiscono un importante ausilio nell’opera di valutazione delle fattispecie concrete di ”apparenza”, indicazione che i soggetti che credono che il trust sia una sorta di panacea poco costosa per ogni male, dovrebbero invece tenere particolarmente presente:
1. Sotto il profilo soggettivo meriteranno particolare attenzione i seguenti fattori:
– istituzione di trust da parte di soggetti che, in base alle informazioni disponibili, risultano:
• in una situazione finanziaria di difficoltà o prossima all’insolvenza, ovvero sottoposti in passato a procedure fallimentari o di crisi;
• gravati da ingenti debiti tributari con l’Amministrazione finanziaria;
– presenza a vario titolo nel trust di soggetti che, in base alle informazioni disponibili, sono sottoposti a indagini;
– conferimento dell’incarico di trustee a un soggetto che, in base alle informazioni acquisite in sede di adeguata verifica, presenta un profilo palesemente incoerente con la complessità dell’attività gestoria richiesta e le finalità del trust (ad es. per entità/natura dei cespiti del fondo);
– reticenza del trustee nel fornire documentazione inerente al trust (es. atto istitutivo), con conseguente ostacolo all’individuazione del titolare effettivo e dello scopo del trust;
– coincidenza tra disponente e trustee (i c.d. trust ”autodichiarati”), tra disponente e guardiano, ovvero sussistenza di rapporti di parentela o anche di lavoro subordinato fra gli stessi.
Questa è, purtroppo la principale, ed inutile, forma del trust che i soggetti italiani cercano di creare, immemori della sua completa inutilità.
– frequente rilascio, da parte del trustee, di deleghe ad operare, specie se a favore del disponente o di soggetti a lui prossimi;
– revoca del trustee da parte del guardiano priva di apparente giustificazione;
– finalità del trust che appaiono incongrue rispetto ai rapporti personali, economici o giuridici intercorrenti tra disponente e beneficiari del trust ovvero tra disponente e guardiano;
– presenza del disponente fra i beneficiari di capitale, o indicazione dello stesso quale unico beneficiario, specie se non risulta chiaramente percepibile la causa istitutiva del trust;
– la previsione di una coincidenza tra disponente e trustee (c.d. trust autodichiarato) ovvero tra disponente e guardiano può essere considerato il segnale dell’assenza di effettiva volontà del disponente di modificare il suo rapporto con i beni conferiti in trust. Peraltro nei trust familiari, la coincidenza tra disponente e trustee/ guardiano, l’esistenza di rapporti di parentela tra gli stessi e la coincidenza tra disponente e beneficiari possono essere fisiologici. Nei trust esteri, al contrario, la qualità di trust autodichiarato può essere motivata dalla necessità di agevolare l’avvio del trust: in questi casi, infatti, non è infrequente che la costituzione della provvista iniziale del trust fund sia effettuata dallo stesso trustee professionale straniero, mentre i successivi conferimenti siano realizzati ad opera del vero disponente (“de facto settlor”).
2. Sotto il profilo oggettivo:
– istituzione del trust per scrittura privata autenticata e/o atto pubblico con ravvicinata ampia modifica dell’atto stesso mediante adozione di diversa forma giuridica (es. scrittura privata non autenticata);
– istituzione del trust in Paesi o territori a rischio, specie se il disponente o un beneficiario è residente in Italia, o se il fondo sia costituito anche con beni immobili siti in Italia. Il luogo di “istituzione” nel presente contesto va riferito a quello di “residenza fiscale” del trust; non rileva, invece, a questi fini, la scelta della legge regolatrice né il luogo di redazione dell’atto istitutivo o dei successivi atti di collocazione del trust al vertice di una complessa catena partecipativa, soprattutto se con diramazioni in Paesi o territori a rischio;
– presenza, nell’atto istitutivo del trust, di clausole che:
• subordinano sistematicamente l’attività del trustee al consenso del disponente, (richiesta errata ma frequentissima) dei beneficiari o del guardiano, specie in presenza di rapporti di parentela o di contiguità tra trustee e detti soggetti;
• impongono al trustee l’obbligo di rendiconto nei confronti del solo disponente, specie se questi non figuri fra i beneficiari;
• prevedono il sistematico e ingiustificato utilizzo da parte del disponente di beni conferiti in trust;
• non risultano comprensibili dal disponente in quanto particolarmente complesse;
– costituzione in trust di:
• beni la cui consistenza o natura risulti incoerente rispetto alle finalità o alla tipologia del trust;
• beni recentemente pervenuti al disponente di cui non sia nota la provenienza, specie nel caso di trust ”opaco”;
• aziende con indicazione nell’atto istitutivo del trust di finalità generiche;
– attività gestoria da parte del trustee non coerente rispetto agli scopi che il trust dovrebbe perseguire in base all’atto istitutivo;
– operazioni di gestione effettuate dal trustee con la sistematica presenza del disponente, del guardiano o dei beneficiari;
– frequenti dazioni in favore di nominativi ricorrenti in trust opachi, specie se effettuate verso Paesi o territori a rischio;
– dazione al guardiano, a titolo di remunerazione per l’incarico svolto, di cespiti del fondo in trust o di somme non corrispondenti a quelli eventualmente previsti dall’atto istitutivo.
TRUST REVOCABILE FISCALMENTE INESISTENTE: I CASI DI REVOCABILITA’, LA GIURISPRUDENZA
Per concludere spiegheremo che il trust autodichiarato è sempre una cosa inutile, la giurisprudenza (ma anche un minimo di logica giuridica) è sempre sfavorevole a questo istituto, creato in maniera poco accorta. La tutela patrimoniale è una cosa estremamente seria e difficile da ottenere, sono sempre da evitare i rimedi dell’ultimo momento e fatti sotto la spinta di una nulla conoscenza delle regole giuridiche della materia.
Fra le tante: Tribunale Catania, Sez. III, 17/02/2020: ” La duplice circostanza che il coniuge del disponente venga nominato guardiano e che il trust sia autodichiarato ben possono giustificare la conclusione che il disponente abbia operato allo scopo di sottrarre i beni alla garanzia dei creditori, ma non valgono a provare la simulazione del trust. È revocabile il trust autodichiarato familiare istituito dall’amministratore unico e liquidatore di una S.p.A., convenuto in giudizio di responsabilità ex art. 146 l.f. dal curatore fallimentare della società, successivamente al compimento dei fatti di mala gestio: la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione della gratuità del trust, si desume dalla circostanza che il trust ha interessato tutto il suo patrimonio immobiliare; l’eventus damni sussiste poiché è indimostrata la proprietà in capo al disponente di altri beni immobili utilmente aggredibili dalla curatela fallimentare.”
Tribunale Milano, Sez. spec. in materia di imprese, 17/02/2021, n. 1409 Parti: Fall. Ca.Bu. s.r.l. c. Ca.Bu.
È nullo il trust il cui disponente sia trustee e beneficiario, a nulla rilevando che egli successivamente (circa 2 anni e mezzo dopo l’istituzione) indichi un altro trustee e un altro beneficiario. Lo stesso trust non può ritenersi simulato sulla base dell’apodittica asserzione secondo cui il disponente ha mantenuto il potere di disporre dei beni in trust.
Tribunale Ancona, Sez. spec. in materia di imprese, 02/11/2020, n. 1340 Parti: Un. S.p.A. c. R.B.
Qualora il trustee decida di non sottoscrivere il ricostituito capitale sociale della S.r.l. una cui quota è l’unico bene del trust, così determinando l’uscita del trustee dalla compagine societaria e la cessazione del trust, e motivi tale decisione nel senso che il disponente non gli ha consegnato la provvista – laddove l’importo della somma da versare a titolo di sottoscrizione era irrisorio (5.100 euro) e il trust disponeva con ogni probabilità di risorse economiche – il trust deve ritenersi nullo (sham) per l’inesistenza in capo al trustee di un autonomo potere di gestione e di controllo sui beni in trust e la correlata mancata perdita in capo al disponente del controllo sui medesimi beni.
Tribunale Milano, Sez. II, 25/02/2019: “Il beneficiario vitalizio del trust non è legittimato passivo nel giudizio per la revocatoria del conferimento in trust in quanto non gode di alcun potere di gestione sui beni in trust. E’ revocabile ex art. 2901 c.c. il trust familiare autodichiarato istituito dal disponente, condannato al pagamento di una somma di denaro in favore del creditore agente in revocatoria, successivamente alla sentenza di condanna: la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita del trust, si desume dal fatto che questi ha istituito il trust successivamente alla sentenza di condanna, mentre l’eventus damni sussiste in re ipsa.”
Tribunale Roma, Sez. XVII, 21/02/2019: “Il beneficiario non è legittimato passivo nel giudizio per la revocatoria del conferimento in trust se gli vengono attribuite facoltà non connotate da realità, ma assoggettate alle valutazioni discrezionali del trustee. E’ revocabile ex art. 2901 c.c. il conferimento di un bene immobile in un trust familiare posto in essere dal disponente, correntista e mutuatario della banca creditrice agente in revocatoria, successivamente all’apertura del conto e alla stipula del mutuo: la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita del trust, si desume dal fatto che questi era al corrente del mancato pagamento delle rate di mutuo e del saldo negativo del rapporto di conto corrente, mentre l’eventus damni si desume dal fatto che la banca aveva precedentemente effettuato un pignoramento, rivelatosi infruttuoso.”
TRUST REVOCABILE FISCALMENTE INESISTENTE: LE CONCLUSIONI
Il trust è uno strumento che nasce per scopi completamente diversi da quelli per i quali viene usato (forse nella convinzione che costi poco-se autodichiarato), usarlo per tutelare un patrimonio è sbagliato, non è la sua natura, non è il suo reale fine. La tutela del patrimonio familiare è cosa ben diversa dal crearsi un trust autodichiarato, desinato inesorabilmente alla revoca. Se si ha bisogno di tutelare il proprio patrimonio è bene rivolgersi a quei professionisti che siano in grado di farvi fare le giuste procedure giuridiche, evitando il fai da te o i consigli di “amici” senza esperienza alcuna nel settore.
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Avvocato dal 1993, Cassazionista dal 2009. Collaboro con imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale e nella creazione di società estere. Mi occupo anche di penale internazionale ed italiano. Coadiuvo uno Studio con numerosi collaboratori professionisti, sia avvocati che commercialisti. Se hai una questione giuridica da risolvere, contattami, troverò le risposte legali adeguate.
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